Dibattito
Pubblichiamo un originale contributo del compagno Sandro D. Fossemò al quale facciamo seguire un commento del compagno Angeli Giulio.
Compagni nel Futuro
Quando l'anarco-comunismo diventa fantascientifico.
di Sandro D. Fossemò
«Di fatto, il regno della libertà comincia
soltanto là dove cessa il lavoro
determinato dalla necessità
e dalla finalità esterna; si trova quindi
oltre la sfera della produzione
materiale vera e propria».
(Karl Marx)
Dopo le notevoli discussioni critiche all'interno del marxismo, dal dopoguerra a oggi, mi pongo la domanda se quello che viene chiamato genericamente “neomarxismo” sia un tentativo di fuggire non solo dal totalitario comunismo sovietico ma anche dalla crisi del marxismo ortodosso per una ricostruzione del comunismo come organizzazione politica e socioeconomica differente da quella classica. Con l’esperienza innovatrice e liberatrice avuta con i grandi pensatori neomarxisti moderni, in un certo senso, il marxismo è diventato sempre più eterodosso con tendenze anarcoidi fino a scoprire una nuova anima ed ha anche cambiato radicalmente volto tanto che, secondo me, si riconcilia male con la trasformazione sovietica della dittatura del proletariato in dittatura sul proletariato.
Marx ha elaborato una dottrina rivoluzionaria del socialismo che non ha potuto fare a meno della necessità storica di costruire un comunismo fondato nel superamento dei predomini sociali della lotta di classe e che, allo stesso tempo, tenesse a bada, attraverso la dittatura del proletariato, la sovversione delle forze economiche borghesi. Nell'analisi storica del marxismo dobbiamo, però, prendere in considerazione l’economia, la cultura e la tecnologia di quel tempo ma, adesso che il mercato ha raggiunto la sua probabile ultima fase in una globalizzazione ad alta tecnologia dove non è più possibile garantire né occupazione e né assistenza per tutti, il socialismo si trova a dover gestire un universo economico altamente scientifico e tecnologico in grado di superare l’esaurita economia del profitto senza più la necessità storica di una vittoria politica o rivoluzionaria sul capitalismo con il conseguente errore della dittatura sul proletariato in perfetto stile sovietico.
In poche parole, un sistema tecnologicamente avanzato come il nostro può garantire una certa efficienza e produzione senza l' inevitabile obbligatorietà del mercato e degli imprenditori. Voglio arrivare a concludere che il capitalismo è stato superato dall'avanzare esponenziale del progresso ed è destinato a morire da solo, senza ribaltamento rivoluzionario ma come esito fisiologico di un’economia altamente tecnologica. (Va anche ricordato che Marx, oltre ad aver previsto il fallimento economico e naturale del capitalismo, credeva possibile applicare il comunismo solo in quei paesi progrediti sia culturalmente che industrialmente proprio per evitare la nascita di un comunismo “grezzo”). Se i mezzi tecnici ci sono e questi funzionano discretamente allora perché dobbiamo ancora credere nella competizione economica invece di organizzare servizi gratuiti? Perché continuare a produrre o a competere secondo le spietate leggi del “libero mercato” quando ormai i beni tecnologici sono diventati quasi tutti uguali e funzionali?
Anche se abbiamo cercato di salvare l’obsoleta economia liberista, attraverso una globalizzazione forzata dalla dittatura tecnocratica, siamo comunque destinati prima o poi a costruire un’economia pianificata della produzione e del servizio, fondata solo sulle forze produttive di tutti i lavoratori in un sistema tale da diventare simile a quello immaginato dal marxismo. «Il comunismo non conosce più nessuna attività separata, un lavoro che si oppone al gioco. L’obbligo di fare lo stesso lavoro tutta la vita, di essere lavoratore manuale o intellettuale, scompare. Con il ruolo del lavoro accumulato che include e incorpora tutta la scienza e la tecnica, la ricerca e il lavoro, la riflessione e l’azione, l’insegnamento e l’attività diventano una cosa sola. Alcuni compiti possono essere a carico di tutti, e la generalizzazione dell’automazione trasforma completamente l’attività produttiva» (Jean Barrot).
In poche parole, grazie all'enorme automatizzazione del lavoro, la società si libera dalle catene di un’arida produzione umiliante e competitiva, perché produce ricchezza attraverso una libera cooperazione creativa. Dato che «l’automazione progredirà, noi potremo andare avanti verso un mondo in cui sia abolito ogni lavoro servile, ogni lavoro ripetitivo, ogni lavoro che richieda soltanto abilità manuale; verso un mondo in cui tutti avranno un lavoro che consentirà loro di usare pienamente le loro capacità manuali ed intellettuali.» (Sam Lilley).
Mi riferisco all'avvento di un nuovo comunismo digitale, perfettamente integrato con Internet, profondamente automatizzato, umanistico e radicalmente democratico. Un sistema, quindi, alieno da politiche dittatoriali o materialistiche. Si tratta di un “comunismo interattivo”, tecnicamente cooperativistico,rizomatico,connettivo,quantico, ludico e partecipativo, vale a dire completamente estraneo al modello totalitario del comunismo sovietico. Torno a ripetere che non sto parlando di un integrale ritorno all'ideologia marxista ma più precisamente credo all'avvento di un sistema economico digitalizzato e anarcoide con legami alla robotica e alla nanotecnologia, privo di mercato , più razionale e così rigorosamente freeware da diventare più o meno affine al mitico anarco-comunismo. Nella fantascienza, a volte, si descrivono civiltà del futuro altamente progredite in cui regnano economie pianificate che hanno un enorme rispetto per i diritti umani, dove l’assenza del mercato o della competizione tra i lavoratori sembra facilitare enormemente lo sviluppo dell’etica nella politica e nella scienza.«E’ vero infatti che una persona potrebbe benissimo praticare la sua arte senza trarne alcun beneficio finanziario. Sappiamo che anche Star Trek abbraccia questa filosofia, in quanto nella Federazione il denaro non esiste» (Judith Barad, Ed Robertson).Il grande scrittore di fantascienza Iain M. Banks ,considerato da molti come un autore "fantacomunista" , ha dichiarato di essere a favore di un'economia pianificata in cui l'uomo vive una condizione di vita disalienata a causa di in un sistema di produzione più razionale e più efficace:«Lasciatemi ora esporre una mia convinzione personale che sembra, in questo momento,molto fuori moda:e cioè che un'economia pianificata è più produttiva, e moralmente più desiderabile, di una abbandonata alle forze del mercato.» (Delos n.27)
Insomma, per concludere, possiamo affermare che rapaci imprenditori, banchieri e freddi tecnocrati subiranno presto la sconfitta tecnologica. Marx ha scritto: «Che le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione comunista». Noi possiamo provare a correggere in questo modo: «Che le classi dominanti tremino al pensiero di una rivoluzione tecnologica».
Pubblichiamo di seguito un commento allo scritto “Compagni del futuro” del compagno Fossemò.
Ho letto con interesse lo scritto “Compagni del futuro” del compagno Fossemò e le note che seguono a commento non costituiscono una critica, ma piuttosto un compendio al suo stimolante ragionamento.
Credo di possedere numerose lacune e una di queste riguarda senz'altro la fantascienza della quale conosco poco o nulla, anche per la vastità di questa materia; quindi non millanterò conoscenze che non possiedo e, tentando di evolvermi dall'ignoranza, traccerò uno scenario diverso da quello del compagno Fossemò, e lo farò recuperando alcuni appunti da me accumulati nel tempo a commento di varie letture: di questi appunti ho preferito conservare l'originale schematicità per far emergere la necessità di ulteriori approfondimenti ai quali rimando, scusandomi di non essere esaustivo.
A mio avviso, quando si parla di teoria marxiana, marxismo e neomarxismo, dobbiamo stabilire alcuni punti fermi per evitare di perdersi nella vastità di queste elaborazioni, rischiando di fornire valutazioni superficiali o che replicano errori antichi e antiche omissioni che devono essere individuate e rimosse.
Alcuni teorici marxisti (R.Luxemburg, K. Kautsky, O. Bauer), sia pure da punti di vista diversi, polemizzarono con Lenin riguardo al concetto di partito e di dittatura del proletariato che, così come Marx la definì (K. Marx: “Critica al programma di Gotha” - 1875), rimane un concetto puramente teorico.
Marx non si addentra nella problematica di come realizzare la dittatura del proletariato ma polemizza con Bakunin sul ruolo dello stato nella transizione rivoluzionaria: al riguardo l'unico modello consegnatoci dalla storia rimane quello socialdemocratico nella interpretazione leniniana (bolscevismo), per altro rivelatosi fin dalle sue prime realizzazioni pratiche un modello di dittatura “sul” proletariato, così come Bakunin e altri teorici e esponenti anarchici (Fabbri, Malatesta, Berneri, Archinof) avevano con lungimiranza previsto.
Lo stesso modello, sviluppandosi e completandosi poi nello stalinismo, avrebbe originato anche quel comunismo nazionale (vie nazionali al socialismo) caratterizzante l'identità e il ruolo di quei partiti comunisti sorti nei paesi a capitalismo maturo, sulla scia della rivoluzione Russa (1917) e dalla III Internazionale (1919/43) al Kominform (1947/56), tra cui il Partito Comunista Francese, Spagnolo e Italiano (PCI) il quale, di fronte all'inevitabile declino dell'imperialismo sovietico, forte militarmente ma soggetto a un progressivo indebolimento fino alla dissoluzione dell'URSS nel 1989, avrebbe tentato di accreditarsi, fin dal 1944, quale forza di governo rispetto all'imperialismo italiano e europeo, fino al suo scioglimento nel 1991.
Da questo punto di vista è essenziale una riconsiderazione fortemente critica del ruolo non solo di Togliatti e Berlinguer e dello stesso ruolo del PCI, ma sopratutto di A. Gramsci e dei limiti insiti in numerose elaborazioni di questo grande personaggio, che hanno finito per esercitare un ruolo complessivamente negativo sul movimento politico e di classe, a partire dalle “Tesi di Lione” (1926).
Altri marxisti (Pannekoek, Rosemberg, Rhule, Bordiga, Damen) avrebbero dimostrato, sia pure in fasi successive, ognuno per vie proprie e in tempi non sospetti, come il cosiddetto socialismo reale altro non fosse, per alcuni fin dalle sue origini, che un modello capitalistico particolare (capitalismo di stato) e, d'altronde, per Lenin, si trattava sopratutto di sviluppare le forze produttive nella direzione già intrapresa da F. Taylor (F. W. Taylor: “L'organizzazione scientifica del lavoro” - 1911), per realizzare così la base economica del socialismo.
Un simile sviluppo avrebbe fatto sì che il contenuto entrasse in contrasto con il contenitore dimostrando in modo sia pure singolare quanto affermato da Marx: “A un certo stadio del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in conflitto o – che è solo un modo giuridico di esprimere la stessa cosa – con i rapporti di proprietà nell'ambito dei quali fino ad allora si erano mosse”. (K. Marx: introduzione a “Per la critica dell'economia politica”- 1859) Riassumendo: in Russia, una delle aree più arretrate d'Europa, un partito comunista (bolscevico) guida una rivoluzione sociale realizzando una transizione (dalla presa del potere alla dittatura del partito sul proletariato) da cui conseguirà un compiuto regime capitalistico (di stato) che, successivamente sviluppandosi nella dimensione imperialistica ( stalinismo) condurrà al crollo dell'URSS (1989), sfociando, settantadue anni dopo, nel riallineamento al modello capitalistico egemone: quello di mercato.
Un mutamento dei rapporti di proprietà (dai privati allo stato), non implica necessariamente il mutamento dei rapporti di produzione. Nella statalizzazione, erroneamente confusa con la socializzazione dei mezzi di produzione, il produttore continua ad essere separato dei mezzi di produzione e dal prodotto del proprio lavoro. Tra l'altro, dopo l'89, il crollo dell'URSS e la fine del capitalismo di stato con l'affermarsi del capitalismo di mercato, le illusioni di pace, democrazia e sviluppo conseguenti a un capitalismo esente da crisi (K. Popper “Mille anni di pace” - intervista a “il mondo” del 21 maggio 1990) avrebbero rapidamente lasciato spazio alla guerra: la prima guerra balcanica scoppia nel giugno del '90 e, nell'agosto successivo, la prima guerra in Irak. Contro le previsioni di Popper la pace non sarebbe durata mille anni ma poco più di un mese.
Il neomarxismo degli anni '50 e '60 del secolo scorso, considerato nella sua complessità e in tutte le sue varianti, pare perdere progressivamente vigore e interesse, e oltre a interessanti elaborazioni di sicuro riferimento (Korsch, Mattik, Marcuse, Baran, Sweezy, Braverman, Catoriadis, Montaldi, Panzieri...) rimarrà patrimonio di estreme minoranze non riuscendo, negli anni successivi, a contrastare l'insorgente neostalinismo, con tutti i suoi ripiegamenti nazionalistici e terzomondisti, così come si è verificato anche in casa nostra.
Circa l'estinzione del capitalismo “come esito fisiologico di una economia altamente tecnologica” sarei più cauto del compagno Fossemò, proprio perché l'economia altamente tecnologica rappresenta piuttosto una fase ulteriore dello sviluppo capitalistico e non la sua negazione, con tutte le conseguenze anche inedite del caso.
“Una formazione sociale non tramonta mai prima che siano sviluppate tutte le forze produttive che essa è sufficiente a contenere e i nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai prima che le condizioni materiali della loro esistenza siano maturate in grembo alla nuova società.” (K. Marx: cit.)
Non è quindi una questione di mezzi e di modi, ma di una transizione complessiva verso un sistema di produzione superiore. Marx delinea a grandi linee (per sua stessa ammissione) “come epoche progressive della formazione economica della società i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese - moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghesi sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana”. (K. Marx cit.).
Ho citato il Marx di un testo molto controverso sul quale si è discusso a lungo. Ma se in queste affermazioni vi è verità essa si sviluppa solo in tendenza, e se rimane confermato “che il contenuto entra in contrasto con il contenitore” non è detto che la soluzione finale sia la società socialista. Ciò significa che il modello di produzione capitalista è ben lungi dal dissolversi non ostante che “siamo comunque destinati prima o poi a costruire una economia pianificata della produzione e del servizio, fondata solo sulle forze produttive di tutti i lavoratori in un sistema tale da diventare simile a quello immaginato dal marxismo”. Con questa affermazione, vera anch'essa in tendenza, il compagno Fossemò traccia una delle ipotetiche soluzioni future per il superamento del sistema capitalistico, ma è ugualmente possibile tracciare ben altri scenari. Proviamo a individuarne un altro possibile, rimanendo, naturalmente, sul piano delle ipotesi.
A premessa di ogni ragionamento pongo, sia pure in forma estremamente schematica, una considerazione su di una delle caratteristiche del modello di produzione capitalistico, vale a dire il suo sviluppo diseguale. Da questo punto di vista vorrei sottolineare come certe concezioni di Gramsci circa la sovrapposizione tra industrialismo e capitalismo (“Tesi di Lione” – 1926 ) siano di intralcio alla comprensione dello sviluppo differenziato del capitalismo non solo in Italia, a riprova della necessità e dell'urgenza di tornare a valutare criticamente le elaborazioni gramsciane, a partire proprio dalla questione meridionale (A. Gramsci: “Alcuni temi sulla questione meridionale - 1926 “).
In certe aree del mondo lo sviluppo capitalistico è stato relativamente lento, sia pure tumultuoso, lasciando spazio alle forme politiche e istituzionali della democrazia borghese (Inghilterra, Francia, Olanda, USA): un privilegio questo che non si è replicato in egual misura in altre aree più arretrate, laddove tale sviluppo è stato molto più rapido (Russia, Italia, Germania, Cina). Ciò è stato possibile con l'ausilio di regimi autoritari e fascisti, quali configurazioni politiche e istituzionali dello sfruttamento capitalistico.
Oggi, nell'attualità della competizione imperialistica, del possente sviluppo tecnologico, in virtù dell'accresciuta concorrenza sui mercati internazionali e della conseguente ristrutturazione dei processi produttivi e del mercato mondiale della forza lavoro (immigrazione) si tratta, per il capitalismo, di comprimere ulteriormente i tempi dei processi di produzione e di valorizzazione del capitale, sia nelle aree più arretrate del mondo che in quelle più avanzate: ciò sta provocando una generalizzata inversione autoritaria nelle aree più arretrate (Africa, Asia) ma anche nei paesi a capitalismo maturo (Europa, USA, Australia) laddove la democrazia borghese si dimostra incapace di gestire le conseguenze dei medesimi processi capitalistici e si pensi, al riguardo, alla tragedia dell'immigrazione e alla guerra, che giunge fino in Ucraina, nel cuore dell'Europa capitalista.
Già Marx intuì con chiarezza gli inevitabili processi di internazionalizzazione insiti nella nozione stessa di capitale (K. Marx: “Lineamenti fondamentali di critica dell'economia politica” - 1857/59 – traduzione in italiano: Torino – 1976, vol. I pag. 375, alla cui lettura rimando in risposta alle innumerevoli leggende circa il carattere inedito dei processi di globalizzazione). Successivamente, J. A. Hobson (J. A. Hobson: “L'imperialismo” - 1902) definì il nascente fenomeno imperialistico, e fu Rudolf Hilferding a indagare poi sui processi di concentrazione del capitale e sulle conseguenze della sua esportazione. (R. Hilferding: “Il capitale finanziario” - 1910).
In considerazione che tutti questi processi inducono a una accentuazione autoritaria delle istituzioni statali con il conseguente rafforzamento delle componenti militari e della tendenza alla guerra per il controllo dei mercati mondiali, e che per Hobson e Hilferding il capitalismo rimane un'entità complessivamente riformabile mentre per Marx no, ecco che torna utile la rilettura di alcuni testi di K. Marx: “Le lotte di classe in Francia, dal 1848 al 1850”, “Il 18 brumaio di Luigi Bonaparte”, “La guerra civile in Francia”.
In questi testi Marx non prefigura certo il fascismo, fenomeno che non conosceva, ma analizza la controrivoluzione nella società borghese così come si affermò nella Francia di Napoleone III.
Lo storico Axel Kuhn traccia una esaustiva sintesi dell'elaborazione marxiana:
“Il dominio di Bonaparte fu il punto conclusivo di una fase rivoluzionaria che si affermò non nel passaggio dal feudalesimo al capitalismo, bensì all'interno della società capitalistica. Marx vede nella rivoluzione francese del 1848 il tentativo da parte dei gruppi della borghesia che non detenevano il potere, di spezzare il dominio assoluto della borghesia finanziaria... I gruppi borghesi che non erano al potere furono in grado, tuttavia, di prevalere poiché sostenuti dalla piccola borghesia e dalla classe operaia. Questi tre gruppi sociali riportarono la vittoria, ma la borghesia fu l'unica classe che ne trasse profitto... In contrasto con la rivoluzione francese del 1789 durante la quale, fino al periodo giacobino, vinse sempre il partito più avanzato, la rivoluzione del 1848 si mosse su di una <linea discendente> , cioè il potere politico si concentrò nelle mani di un gruppo sempre più ristretto. Prima di tutto l'ala vittoriosa della borghesia si liberò del suo alleato più radicale, la classe operaia, poi eliminò l'influenza del partito piccolo borghese dei repubblicani democratici. Ciò che rimase fu il partito dell'ordine in cui le due fazioni della borghesia, capitalisti e proprietari terrieri si erano alleati. Per non soccombere alle sue stesse contraddizioni e per timore della coalizione dei vinti (piccola borghesia e proletariato) che si rafforzava di nuovo la borghesia si dichiarò d'accordo con la dittatura di Napoleone III”. (in Axel Kuhn - “Il sistema di potere fascista” - Milano 1975”.
Qua non si tratta di dipingere il futuro a tinte fosche paventando il fascismo, ma si tratta di comprendere che lo sviluppo tecnologico e i suoi avanzatissimi strumenti devono essere “contestualizzati”: posti cioè in relazione all'espansione capitalistica e imperialistica per comprendere la complessità, i ruoli e i condizionamenti dello sviluppo tecnologico e delle sue medesime prospettive, evitando così pericolose semplificazioni.
L'analisi di Marx sul “bonapartismo” che a sua volta rimanda al “cesarismo”, ci aiuta infatti a comprendere non solo il fenomeno fascista ma anche l'attuale degenerazione autoritaria della democrazia borghese.
Che la fase attuale con il suo possente sviluppo tecnologico possa accartocciarsi su di una prospettiva autoritaria potrà anche sembrare un paradosso: eppure ancora una volta la storia insegna che la destabilizzazione del movimento operaio e sindacale, l'ulteriore estremo logoramento delle classi subalterne, il loro disorientamento e il senso di sconfitta di fronte alla ristrutturazione capitalistica in atto, l'aspra competizione imperialistica sui mercati internazionali da cui consegue il richiamo all'unità nazionale per il rilancio dell'economia proveniente delle forze governative e sindacali impartito “stato per stato”, l'indebolimento e la degenerazione corporativa delle medesime forze sindacali, il senso di impotenza delle crescenti schiere di lavoratori precari e disoccupati privi di rappresentanza reale, i vasti processi di immigrazione, la frustrazione del ceto medio e l'emergere di nuovi razzismi rimandano a un passato che proprio non è il caso di rimuovere e esorcizzare.
“In base agli insegnamenti della storia, e tenendo conto di nuovi e non prevedibili sviluppi, dobbiamo dire che la via non socialista dell'industrializzazione accelerata degli stati arretrati offre le più grandi chances a esperienze di tipi bonapartistico e fascista. Il fascismo non appartiene al passato: è un pericolo per la società moderna” (H. Kuhn, cit)
Maggio 2015
Giulio Angeli
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